Siamo ritornati al 1984, e questa ne è una prova!

Gli effetti della profonda crisi che colpisce ormai da almeno sette anni si fanno ancore sentire, e anche molto. L’edilizia è uno dei settori che è stato maggiormente coinvolto e il mercato immobiliare, che l’ha seguita a ruota, ne ha risentito in modo particolare, con compravendite in calo, valori in continua discesa e numeri sempre minori di interventi (siano nuove costruzioni che ristrutturazioni).

Molti indicatori e analisi, elaborati da associazioni di categoria, istituti di ricerca indipendenti e società immobiliari, hanno già più volte tracciato questa tendenza. Solo ultimo in ordine temporale, il Censis ha diffuso tramite il suo sito i dati salienti dell’ultimo dossier sul settore immobiliare presentato e discusso il 10 settembre all’interno di un workshop a porte chiuse che ha visto riuniti a Roma rappresentanti del mondo delle costruzioni, di banche e assicurazioni, gestori di reti, progettisti ed esponenti della consulenza.



Elaborato in collaborazione con la Rete Urbana delle Rappresentanze (associazione promossa da Censis a cui aderiscono, fra gli altri, Intesa Sanpaolo, UnipolSai, Salini Impregilo, Telecom Italia, Fs e Fintecna), sottolinea, ancora una volta, come l’edilizia sia stata la prima vittima della crisi, con un vistoso arretramento del volume di scambi, ritornato ai livelli del 1984 dopo la crescita (eccessiva) del decennio 1997-2007: nel settore residenziale si è infatti passati dalle 807mila abitazioni compravendute nel 2007 alle 403mila del 2013. Rispetto al 2008, primo anno di forte flessione del residenziale, al 2013 il fatturato si è quasi dimezzato, passando dai 112 miliardi di euro agli appena 68 miliardi (-39,7%).

Anche gli altri segmenti del mercato non residenziale di piccolo taglio (con esclusione dei complessi terziari per istituti di credito, centri commerciali e alberghi) registrano dinamiche simili: singoli uffici a -50.9%, piccoli negozi a -55,1%, capannoni industriali a -50,6%. Con una riduzione complessiva, insieme al residenziale, di 57,7 miliardi, situazione paragonabile alla scomparsa dei quattro principali gruppi della grande distribuzione in Italia (Coop, Conad, Selex ed Esselunga) o corrispondente a tre volte il fatturato della Fiat e a quasi metà di quello dell’Eni.

Argomento che negli ultimi anni molti hanno evidenziato come importante fattore discoraggiamento dell’investimento immobiliare e affrontato pressoché da tutti i recenti governi in modo pasticciato e contraddittorio, la burocrazia è indicata anche dal Censis come uno degli artefici di quello che definisce un colpo di grazia al settore dell’edilizia e delle trasformazioni urbane. E il confronto con l’estero è impietoso:234 giorni per autorizzare la costruzione di un edificio semplice contro i 97 delle Germania e gli 88 della Gran Bretagna, gap che colloca l’Italia tra i paesi meno efficienti e le fa perdere ben 11 posizioni rispetto al 2013.

Passando di scala la situazione di fondo non cambia, con tempi che si dilatano in proporzione: per un intervento medio di riqualificazione urbana in Italia, se il processo non si incaglia a livello comunale, provinciale o regionale, occorrono più di 3 anni, contro i 10-14 mesi della media europea. E differenze si rilevano anche fra lecittà italiane, che vedono i tempi incrementarsi man mano che si procede verso sud: dai 151 giorni per le autorizzazioni di Milano ai 316 di Palermo, passando per i 160 di Bologna, i 198 di Torino e i 252 di Napoli e Cagliari.

Tra caduta delle nuove costruzioni e orientamento verso la manutenzione e il recupero (che oggi rappresenta il 69% degli investimenti complessivi e determina la crisi delle imprese strutturate con un’occupazione regolare incrementando così il lavoro sommerso), il paese non può comunque perdere il valore aggiunto che l’edilizia dà al mercato, nonostante la riduzione del 28,7% degli investimenti tra 2007 (174 miliardi) e 2013 (142 miliardi).

In conclusione, una piccola luce in fondo al tunnel, che secondo il Censis c’è: sono infatti positive (anche se fino a quando durerà?) le previsioni per il 2015, quando si prevede una ripresa per la metà dell’anno. Nel 2014 si sta già registrando una lieve inversione di tendenza (419mila unità a fine anno, valore leggermente superiore a quello registrato un anno prima), con un 2014 anno di transizione in cui si sta fermando lo smottamento verso il basso. Gli indicatori che fanno avere fiducia sonol’incremento dei mutui (118mila famiglie rispetto alle 90mila del 2013 nonostante il calo del reddito disponibile, sceso del 9,8% dal 2008, e gli effetti deprimenti delle imposte sulla casa, in primis Imu, Tari e Tasi), e i prevedibili (ma non sicuri) effetti positivi, che si vedranno dal prossimo anno, del decreto Sblocca Italia.



Il tutto per una situazione che Giuseppe Roma, direttore generale Censis e segretario generale di Rur, definisce “paradossale”, con una crisi profonda in cui gli investimenti pubblici e privati sono calati e in cui “la barriera più difficile da superare è proprio l’atteggiamento inquisitorio delle autorità pubbliche, la non chiarezza delle regole del gioco, i continui aggiustamenti richiesti da una pletora di soggetti, detentori di piccoli o grandi poteri autorizzativi”.

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